lunedì, giugno 03, 2013

Femminicidi: i numeri e l'autopercezione italiana

Quanto scrivo è nato da una riflessione innescata dopo la lettura dell'articolo di Giovanna Cosenza: Femminicidio: il fact-screwing dei negazionisti.

Di recente mi è capitato di sentire un comico (forse Crozza) parlare del complesso italiano della salvietta sul braccio quando ci si confronta con l'Europa del nord. Basandomi solo sulla mia esperienza personale di italiano residente in Germania da molti anni posso confermare che quel complesso è davvero molto diffuso.
Un esempio?

Sia quando avemmo la Murgia sia quando avemmo De Cataldo come ospiti si parlò di femminicidi. Soprattutto quando venne De Cataldo se ne parlò anche nel dibattito. Molti nel pubblico sostennero che il fenomeno fosse molto più grave in Italia che in Germania.
Beh, ecco i numeri presi da Wikipedia tedesca:

EU27-StaatAnzahl der Tötungen
von Frauen
durch ihre Partner
oder ehemalige Partner
im Jahr 2006
Einwohner
im Jahr 2006
Tötungen
pro 1.000.000
Einwohner
Belgien3510.712.0003,27
Bulgarien427.494.0005,60
Dänemark145.550.0002,52
Estland221.341.00016,41
Finnland215.365.0003,91
Frankreich13762.787.0002,18
Deutschland27882.302.0003,38
Griechenland1611.359.0001,41
Irland174.470.0003,80
Italien9460.551.0001,55

L'Italia è al sestultimo posto come casi per milione di abitanti. Bisogna inoltre aggiungere che i suddetti dati sono del 2006 e che per quanto riguarda gli ultimi anni i dati italiani sono piuttosto dibattuti. Wikipedia, ad esempio, dice che un numero diffuso come ufficiale per il 2012 è stato quello di 124 casi, tuttavia...

il numero di 124 vittime appare viziato da un errore interpretativo di fondo ripreso poi acriticamente dalla quasi totalità dei media italiani: esso comprende anche le vittime collaterali coinvolte nel femminicidio, quindi uomini e bambini. ...  il calcolo corretto può comunque essere ottenuto empiricamente spulciando l'archivio del sito attraverso la comoda numerazione progressiva che Bollettino di Guerra dà delle vittime. Le morti nel 2012 causa femminicidio ammontano quindi a 75 e non a 124. Da qui l'equivoco numerico che tutti i media continuano a perpetuare.

Altro dato interessante citato nell'articolo di Giovanna Cosenza è che in Italia...

la maggior parte delle vittime si registra nel ricco e sviluppato (e, certo, più popolato) nord: dove, nel 2008, ultimo anno disponibile, le vittime di sesso femminile sono state il 47,6 per cento, contro il 29,9 per cento del sud e il 22,4 del centro.

Il che mi pare riflettere la tendenza europea.

Detto questo voglio comunque citare la condivisibilissima conclusione della Cosenza:

Ricapitolando: se abbiamo davanti un’incidenza percentuale che ci dice che, a differenza di altri delitti, il femminicidio esiste e non cala come gli altri crimini, se abbiamo davanti un’assenza di dati e di risorse, si dovrebbe concludere – e sarebbe logico farlo – che abbiamo un problema. Il drappello di fact-checker, invece, conclude che NON lo abbiamo.
Perché? Questa dovrebbe essere la domanda. Le risposte, come è ovvio, soffiano nel vento. Ma una cosa vorrei dire: comprendo che la razionalità (è davvero tale?) degli studiosi (quando sono degni della definizione, naturalmente, e non semplicemente aspiranti influencer) chiami alla freddezza anche quando una ragazzina di sedici anni viene bruciata viva dal fidanzato, ché a noi non interessa, ché l’emotività è roba da “opinione pubblica”. Eppure non è questo che chiediamo a chi studia. Non è questo che chiediamo a chi pronuncia parola pubblica, sapendo bene di usarla come un’arma e di usarla, nella gran parte dei casi, solo per chiamare a sé i riflettori in un momento in cui il dibattito è caldo. Che vengano, i riflettori: abbiateli. Ma almeno sappiateli usare per il bene di noi tutti: e non, semplicemente, per qualche follower in più.

6 commenti:

francesca ha detto...

E se pure fossero 75, ti sembrano poche?!

Se ti interessa l'argomento ti consiglio la puntata di presa diretta di Riccardo Iacona

molto lucido....se non lhai vista.

http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-87cf8dde-2333-41e1-b497-f6b2c15c6305.html

Ciao francesca

PS:....abitavo a 300m da Melania Rea e l'argomento mi tocca tantissimo!

dioniso ha detto...

Assolutamente no! Pure se fosse una sola sarebbe troppo. È un fenomeno abominevole e va affrontato con tutti i mezzi.
Mi dispiace aver dato adito ad ambiguità. Credo di essere stato poco chiaro.
Diciamo che l'intenzione di quello che ho scritto era sia di mostrare come noi Italiani ci percepiamo sempre tra i peggiori quando si tratta di primati negativi sia di mettere in guardia nell'essere precisi quando si diffondono statistiche.
Se lo si fa nel modo sbagliato, fornendo numeri con non corrispondono a realtà, si offre il fianco ai negazionisti che potranno usare il fatto per screditare magari un movimento con degli obiettivi nobilissimi.

ubik ha detto...

Mi dispiace, ma conosco di persona Fabrizio Tonello, criticato insieme ad altri dalla Cosenza e l'articolo del suddetto t'invito a leggerlo. Purtroppo si sta facendo un altro errore secondo me. La media degli omicidi è costante (purtroppo!!!) quindi non cala, né aumenta. E si sta creando una "bolla mediatica" che prima o poi si sgonfierà, sono ondate che seguono i flussi dell'informazione. Qualcuno ricorda più l'emergenza suicidi per lavoro? E soprattutto i crimini commessi dagli immigrati che la stampa democratica denunciava come fatta apposta dalla destra per soffiare sulla sicurezza?
Bè, noi intervistammo uno studioso molto conosciuto negli ambienti accademici e molto qualificato in Italia e soprattutto all'estero che dimostrava dati alla mano che i reati commessi dagli immigrati erano nettamente in aumento (http://www.marziobarbagli.com/Marzio_Barbagli_Home_Page/Immigrazione_e_Criminalita_in_Italia.html), contraddicendo un po' la vulgata della stampa progressista (che lo ostacolò e denigrò, ma non riuscì a dimostrare il contrario, i numeri sò numeri) - aggiungo che lo studioso in questione è un progressista convinto che ad esaminare questi numeri si è chiesto cosa fare come militante e cosa come studioso (l'intervista lo testominia e si può leggere qui: http://www.unacitta.it/newsite/intervista.asp?id=1888).
Quindi anche a me viene da storcere il naso quando vedo ste campagne un po' orchestrate allo stesso modo (tra l'altro è interessante la riflessione di Tonello sulla inadeguatezza ed errore di "equiparare" con l'uso della parola femminicidio al genocidio (ma l'articolo criticato dalla Cosenza di Tonello si può leggere qui: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/11/femminicidio-numeri-sono-tutti-sbagliati/590171/).
In sostanza, un altro cavallo da cavalcare, un'altra bandiera da sventolare e che non aiuta secondo me il problema. Ovviamente non nego la gravità terribile di quanto succede, ma non è un'emergenza e se lo è lo è stata pure tutti gli anni in cui non lo è stata e solo adesso si tira fuori. Insomma sono anni che ci sono quei numeri. Mi dispiace urtare la sensibilità di chi penserà che invece c'è una emergenza che gli uomini odiano le donne e tutto quell'armamentario dialettico che semplifica quando si generalizza. Bye - Bye

dioniso ha detto...

Mi trovo d'accordo su alcune cose (prima parte) ma meno su altre (seconda parte).

L'ipotesi che la parola "femminicidio" voglia evocare il "genocidio" mi pare molto azzardata. Il suffisso –cidio è semplicemente quello che viene usato per indicare l'uccisione. Altrimenti si dovrebbe dire che anche uxoricidio, matricidio, parricidio, fratricidio, sororicidio, infanticidio, tirannicidio, deicidio, regicidio, ecc lo evocano.
Anche la conclusione di quello che scrivi non mi piace molto. Io ribalterei la prospettiva. Se l'emergenza c'era e non veniva rilevata è un bene che ora invece sia affiorata. L'importante è secondo me cercare di non alterare i fatti altrimenti ci si perde molto in credibilità.

ubik ha detto...

a livello semantico hai ragione sul suffisso, ma nella pubblicistica si usa femminicidio per far passare l'idea che gli uomini uccidono le donne in quanto tali, solo per appartenere al loro genere (e qui scatta il parallelo con il genocidio) mentre vengono uccise in quanto moglie di, fidanzata di, (cioè quel marito uccide quella moglie pr i motivi tipo è stato lasciato non in quanto femmine).
Non volevo dire che prima c'era l'emergenza, ma solo evidenziare che è stato sempre così, i numeri d'altronde son quelli da anni e questo certo non giustifica, ma purtroppo è nella legge dei grandi numeri di società complesse: com'era stao pr i suicidi, poi per i delitti commessi dagli immigrati abbiamo sempre più o meno le stesse cifre che solo il focus d'attenzione dei giornali ci fa percepire come emergenza. Ma in realtà sono dinamiche da grandi numeri e società complesse. E' brutto e triste dirlo ma è così, d'altronde mi sembra in linea con quanto accade negli altri paesi che non è che siano meno o più civilizzati di noi, è questione propriodi modelli e dinamiche. Ripeto mi dispiace, ma non vedo orizzonti paligenetici che faranno decadere questi brutti fatti (quanti bambini ad esempio vengono uccisi e maltrattati da sempre? se uno ripercorre un po' di storia dell'infanzia addirittura si accorge che ai bambini va meglio ora che nei secoli scorsi eppure tra preti pedofili, massacri e quant'altro non esitiamo a dire Infanzia Violata, Emergenza Minori ecc. ecc.). Tutto qui.

Scarambocchio ha detto...

Puntare i riflettori su un fenomeno sociale negativo (in questo mio ragionamento, che i femminicidi siano in crescita o meno è secondario, fossero pure un decimo sarebbero sempre troppi) mostra anzitutto che ormai socialmente siamo in grado di riconoscerlo come tale ossia che questo tipo di omicidio ha delle cause e dinamiche molto ben comprensibili e che lo distinguono da ogni altro tipo di delitto. Averne consapevolezza ci spinge immediatamente ad interrogarci sulla possibilità che ci sia un modo per contenerlo. Ed in questi casi alcune cose si possono fare. Oltre ad offrire alle donne vittime di violenza domestica e similare, la possibilità di sottrarvisi grazie ad aiuti e strutture pensate per quello scopo, c'è da promuovere nelle scuole un'educazione sentimentale e alla sessualità fin dalla più tenera infanzia in modo da bilanciare quanto più possibile le influenze negative che arrivano dai contesti sociali e spesso anche familiari, in cui le persone si formano. Il problema non sarà mai risolto completamente, questo è ovvio, ma sappiamo che lavorare sui meccanismi che innescano certe violenze, può ridurne drasticamente la portata. Per cui ben vengano i riflettori puntati se ci aiutano a superare l'ostracismo della Chiesa e degli integralisti "antigender" e a salvare vite umane.
Paola Spagnoli